Alla fine hanno vinto i filmini e le parodie sul web. Tiziana Cantone non ha retto più e si è tolta la vita nella cantina di casa, impiccandosi con un foulard. Il video è stato tolto ma le immagini del suo volto con annessi sfottò sono ancora lì che circolano sul web. Basta digitare il nome della 31 enne su Youtube o altri canali e vengono fuori filmati dal titolo “5o sfumature di Tiziana Cantone“, “Tiziana Cantone, stai facendo un video, bravo eh“. Su Facebook spopolano le pagine di commemorazione con i relativi commenti. C’è chi ancora giudica il suo comportamento e chi invece pensa che una donna è libera di fare quello che vuole. Ma perché accanirsi e sputare sentenze? Dire la propria è un diritto di ognuno di noi ma lo è anche il diritto all’oblio.
Come si legge su “ilmattino.it”: “Mentre la Procura di Napoli Nord ha aperto un fascicolo per induzione al suicidio, agli inquirenti la mamma di Tiziana ha raccontato che la figlia era particolarmente agitata da cinque giorni perché, pur avendo ottenuto dai giudici il diritto all’oblio, e quindi la cancellazione delle immagini dal web, era stata condannata al pagamento di quattromila euro di spese giudiziarie perché giudicata consenziente. Sarebbe stato questo, secondo la madre, il motivo scatenante del suicidio della 31 enne”.
Le parole di Antonello Sannino, presidente di Arcigay Napoli, esprimono bene il senso di colpa provato da moltissime persone: “Il suicidio di Tiziana Cantone deve farci riflettere profondamente su quanto il cyberbullismo, unito all’ipocrisia e alla sessuofobia della nostra società, possano rovinare, con facilità inaudita e con crudele superficialità, la vita delle persone. Il Paese ha riso e puntato il dito e in pochi, forse nessuno, hanno avuto il coraggio di difendere Tiziana, condannata dal pregiudizio. Tutto ciò – il silenzio di chi poteva intervenire e non l’ha fatto, compreso noi tutti – lascia un profondissimo senso di colpa”.
Anche Arcigay Campania per bocca di Claudio Finelli si unisce al cordoglio, parlando a proposito del cyberbullismo e definendolo: “una piaga sempre più radicata nella nostra società, soprattutto tra i più giovani, che talora usano i social come veri e propri strumenti d’offesa, per denigrare e mortificare i sentimenti e la sensibilità di chi si trova in condizioni di difficoltà e di minoranza. Ecco perché già tra i banchi di scuola è necessario affrontare questo problema, onde evitare che i social diventino in breve tempo un orribile collettore di pregiudizi, discriminazioni e violenze di genere”.
Per dirla con le parole di un film: “Credo che non è giusto giudicare la vita degli altri, perché comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri”.
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